Si racconta all’isola d’Elba il DJ numero uno al mondo e risponde alle tante domande a lui rivolte.
Dal settimanale Vanity Fair viene fuori l’indole e la storia di BOB SINCLAR
La star della console per una notte ha trasformato la spiaggia di Marina di Campo in una discoteca a cielo aperto: 8mila persone arrivate da ogni parte dell’isola, a ogni costo e con ogni mezzo, con le apposite navette oppure, come ai vecchi tempi, in autostop. Altri sono arrivati fin dalla mattina in traghetto dalla terraferma pur di partecipare a uno degli eventi clou dell’estate toscana
Quando raccontiamo a Sinclar il delirio collettivo che ha causato la sua presenza, spalanca gli occhi blu fingendo stupore. Ma lo conosce, eccome, il suo potere di smuovere le masse e di far ballare persone di ogni età. «Io non sono che un deejay dopotutto, ma in Italia le persone sono particolarmente gentili con me. Amano la mia musica, la mia immagine, i messaggi che lancio. E in più credo che gli italiani siano molto fedeli: se amano un artista lo seguono sempre con attenzione».
Difficile “seguirla” davvero, con tutti gli impegni che ha.
«L’estate rimango per lo più in Europa, affitto un piccolo aereo in modo da essere sempre a due ore di aereo di distanza da Ibiza. Questa estate, infatti, ho questo appuntamento fisso al Pacha, dove fino al 3 ottobre, per quattro mesi, sono il maestro di cerimonie col mio spettacolo Paris by night. Essere lì per me è una ricompensa: è un posto speciale, il miglior club del mondo, senza rivali. È come per un calciatore arrivare a giocare al Bernabéu, oppure con la Juventus».
Ora che è arrivato al Bernabéu, qual è il suo sogno?
«Il mio sogno è stato esaudito da molto tempo: guadagnarmi da vivere facendo il dj. Be’, siamo andati ben oltre questo sogno. Quando sei giovane e cominci a fare il calciatore, non pensi che arriverai mai a giocare con Ibrahimovich… E quando ho cominciato io a fare il deejay non c’erano speranze, non c’erano esempi veri da seguire, perché la scena non era così grande come ora. Oggi tutti sanno cosa facciamo, ma appena 10-12 anni fa i deejay erano associati alla droga, ai rave, al mondo della notte e basta. Era gente particolare che faceva un mestiere bizzarro. Oggi sono considerati artisti».
E il modo di vedere le cose è cambiato anche grazie al suo lavoro?
«Certamente. Oggi si può suonare dappertutto, persino qui all’Isola d’Elba. Dieci anni fa non potevi suonare da nessuna parte e certo non qui. C’è stata tutta un’educazione fatta dalla gente, dalle radio, dall’immagine… Abbiamo comunicato di più con le persone. Io ogni volta che parlo, come ora, lancio un messaggio. E il mio è un messaggio che rassicura le famiglie. Ora ci sono ragazzi che dicono apertamente di voler fare il deejay, e i genitori non dicono più che si tratta di un lavoro ambiguo».
Infatti, qui all’Elba era atteso sia dai bambini sia dai sessantenni.
«Sì, perché la musica è diffusa ovunque. E la dance music è diventata pop music. In più il messaggio che lancio piace a gente diversa e così la mia musica, che non è troppo dance o troppo elettrica o troppo aggressiva. È musica normale solo che è prodotta da un deejay, con un tempo e uno stile preciso».
La canzone che le chiedono di più e quella che la rispecchia meglio?
«Love Generation è il mio successo più grande, con due milioni di dischi venduti, ed è la chiave che mi ha fatto passare da deejay a deejay-star. Poi adoro Kiss My Eyes, I Feel For You… Ci sono tante belle canzoni, ma se me ne chiedi solo una, quella è World hold on. Ed è anche quella che mi chiedono di più. Penso che sia la hit che rimarrà nel tempo, perché c’è una combinazione di emozione, messaggio e melodia. Ci sono tutti gli ingredienti perché resti un classico».
Prima di lei e della sua generazione, la scena era molto diversa. Ma ci sarà qualcuno da cui ha imparato, ha tratto ispirazione…
«La mia ispirazione è emozionale. Arriva dalla musica afro americana, caraibica, dal funk, dalla disco, dal blues, dal jazz e dalla musica nera in generale. È la musica che mi da del groove. Poi, non si può ignorare che Daft Punk è stato per i francesi e per i deejay in generale una grande fonte di ispirazione, in termini di musica e creatività. Per quel che riguarda gli Stati Uniti c’è tutta la scena di Chicago con uomini come Lil Louis, Paul Johnson, a New York invece ci sono Masters at Work, Roger Sanchez, David Morales… Tra il 1986 e il 1996, per dieci anni, invece ho ascoltato molto hip hop. È il rap che mi ha fatto arrivare alla creazione musicale, perché penso che sia la cultura più creativa dagli anni 80».
Un consiglio per un giovane che vuole intraprendere la sua carriera?
«Gli direi che deve essere la tua passione, ma non puoi considerarlo un lavoro. Non puoi programmare e pensare “Faccio così e farò dei soldi e durerà per vent’anni come per i miei idoli”. È come dire voglio fare l’attore, il cantante, il musicista. Gli direi: puoi farlo, ma devi finire i tuoi studi, perché devi avere un bagaglio di conoscenze, così se non funziona puoi cambiare obiettivo, cambiare la strategia. Insomma, deve essere un hobby».
Oggi all’Elba, poi a Riccione, Mykonos, Ibiza… C’è abbastanza tempo per la sua famiglia?
«Sì, perché sai il tempo coi figli non si giudica in quantità, ma in qualità. Per i bambini è importante avere una base famigliare. Che ci sia buona coesione tra i membri, che tutto sia ben spiegato e compreso e che quando ci sei si condividano dei momenti. I bambini sono autonomi e a partire dai 10 anni hanno la loro personalità. Tu devi esserci come un sostegno per dare delle basi solide e far sentire che ci sei. Devi esserci al momento buono».
Per i suoi figli, Paloma e Raphael, non deve essere male avere una star come padre…
«Sì, anche se quest’anno per la prima volta mio figlio, che ha 15 anni, mi ha detto: “Vado a vedere Steve Angello” (un giovane deejay di origini greche, ndr). E va bene così, ha i suoi riferimenti. Non posso accompagnarlo ora, ma lo accompagnerò a vederlo a un festival che ci sarà a Parigi. Sì, comunque penso che quando hai 15 avere tuo papà che è un deejay non sia male».
Se volessero seguire i suoi passi che direbbe loro?
«Perché no. Mia madre mi ha detto “Vai!”, in un momento in cui non c’era niente e in cui i deejay non erano guardati bene. A quell’epoca era facile immaginare che un figlio in discoteca prendesse droghe, sigarette, alcol, cose così».
Pensa che uno dei due sarà deejay?
«Non credo, ma penso che saranno artisti sicuramente: fotografia, video, non importa. Oggi anche con un telefono puoi essere un artista. Su Instagram, per esempio, vedi subito il talento».
Sua moglie Ingrid, invece, è gelosa della vita che fa?
«Mia moglie è per metà siciliana, quindi immagina… Certo che è gelosa».
E la segue?
«No, mai. È troppo impegnativo e poi non bisogna mai mischiare le cose».
Si parla spesso di un’accesa competizione tra deejay. Lei la avverte?
«C’è differenza tra competizione ed emulazione. Per me è bene spingersi avanti a vicenda, così si crea una scena più forte. Ma bisogna comunque battersi per restare al top, perché ci sono continuamente nuovi giovani che arrivano. Però per me non c’è un ranking e non ho problemi di ego nei confronti degli altri».
Ha una forma invidiabile, tanto che ha posato in deshabillé per Vanity Fair e, più recentemente, è stato testimonial di un marchio di lingerie. In più, il suo sforzo fisico alla console è quasi paragonabile a quello di un atleta. Come si allena?
«Faccio molto sport: palestra, tennis, boxe, un po’ di corsa. È molto importante, ma l’alimentazione lo è anche di più: se il tuo corpo subisce cose negative, restituisce cose negative. Si diventa grossi, deboli, il cuore e il sangue ne risentono. Bisogna bere molta acqua, mangiare molte proteine, legumi, frutta, cose così. Io faccio molta attenzione a quello che mangio da sempre. Molta burrata! (ride, ndr). Quando so che suono alle 3 o alle 4 del mattino, verso le 10 di sera mangio un piatto enorme di pasta, come gli sportivi, e bevo un po’ di energy drink durante lo show».
Progetti per l’autunno?
«A ottobre in generale sono sempre un po’ off e poi a novembre si ricomincia, perché fino a febbraio c’è tutta l’America del Sud, l’Australia, l’Asia, il Carnevale in Brasile, Miami, la California dove vivo. Io vado ovunque ci sia il sole».
La vita dopo la console?
«Io non so far niente altro. A meno che non venga qualcuno a cercarmi con un progetto…».
Nel cinema per esempio?
«Se non hai il talento non puoi farlo, non puoi diventare attore dal nulla. È come per me: se sei un deejay, sei un deejay. Per tutta la vita».